Il ” Gobbo” della Valle

Il “gobbo” della Valle

La prima volta che vedemmo il “gobbo” era nel periodo del Brunft dei camosci, 8 anni fa.

In lontananza sembrava un camoscio come gli altri, in gruppo con i suoi coetanei; l’unione fa la forza dicono, e per resistere alle scorribande dei maschi adulti, i gruppi degli animali giovani si uniscono. Con il lungo si notò la sua particolarità. Una gobba, sulla schiena, lo differenziava in mezzo a mille altri animali. Probabile caduta in uno degli impervi canali di transito, il camoscio aveva resistito bene al trauma, e portava ora con sé il segno indelebile della sua brutta avventura.

Gli anni passano e di consuetudine, ogni anno a novembre , quando l’osservazione dei camosci è ai massimi livelli, faceva capolino il “nostro” gobbo. Prima nel gruppo dei giovani maschi, poi sempre più in alto nella scala sociale, scudiero di un maschio adulto e poi finalmente sulla cresta, a dominare quelli che sarebbero stati per qualche anno i suoi canali. Le sue alcove amorose.

La caccia di quel giorno era dedicata al camoscio, più di uno a dire il vero. Attraverso l’ottima gestione di un patrimonio di ungulati molto vario e interessante, la squadra dei cacciatori di quel settore alpino avevano diritto agli abbattimenti di un maschio adulto, un animale dell’anno (yearling… confidenzialmente “charlie”) e una vecchia femmina asciutta. Tutti doni immensi che la montagna ogni anno ci fa da regalo.

La salita al buio è sempre quella che fa da preludio ad una intensa e stupenda giornata di caccia, quando poi l’alba rischiara di rosa il mondo attorno capisci che hai la fortuna di assistere e comprendere il valore di uno spettacolo così avvincente.

La salita si fa sempre più tosta, dopo aver superato l’altitudine del faggio, dell’abete, arriviamo ai primi pascoli alpini.

Sui pascoli alti sembra un tripudio di un pittore che ha esagerato con i colori… il rosa dell’alba, il giallo tenue del pascolo ormai povero di sostanze nutritive e il nero… si, ovunque macchie nere… camosci!!!

Si arriva in cresta e si decide, quasi in ordine gerarchico. Vanno avanti quelli deputati al prelievo, ai quali danno man forte gli amici accompagnatori (gente di montagna, puri, che rinunciano alla propria cacciata in un ambiente così stupendo , per favorire l’Ospite, nel vero senso della parola… come è possibile ringraziarli??) che osservano, e insieme si decidono le tattiche di avvicinamento. La caccia ha inizio… la tensione sale!

Dopo i primi canalini vuoti, si nota un bel gruppo di camosci, quasi in cima alla montagna, ancora intenti al pascolo. Decidiamo quindi di raggiungere una prima posta, che dal nome stesso, permette di avere un’ottima visuale dei canali frequentati come passaggio dagli animali. La raggiungiamo non senza fatica, le pendenze sono da sci e l’erba olina certamente non è anti infortunistica. Procediamo accorti.

Siamo tutti posizionati, carabina pronta, lungo ben stabile sul cavalletto e binocoli da osservazione che scrutano ogni pertugio dei canali.

Come in tutte le avventure di caccia più entusiasmanti gli attimi più concitati durano veramente poco. Un possente maschio fa capolino qualche centinaio di metri più avanti a noi, seguendo una femmina con il suo branchetto di camosci.

È questione di secondi, in pochissimo tempo percorre i canalini e dai 600 metri in cui era, si porta sul limite del tiro accettabile, la soglia dei 300.

Attimi di scelta, l’ok del prelievo viene dato dopo aver valutato attentamente il capo… è proprio lui, nostro “gobbo”.

La corsa frenetica lo ferma appena un attimo per prendere fiato. Il reticolo è già su di lui e sarà il suo ultimo respiro tra le sue montagne.

Il recupero e le foto di rito coronano una grande cacciata e una indimenticabile giornata, trascorsa tra i monti, tra amici e tra cacciatori.

Il “gobbo” ci ha fatto compagnia sui monti per 10 anni, come documentano gli anelli invernali, ma lo sarà sempre nella nostra mente nel ricordo di ricordo quella magnifica cacciata.

 

 

SC

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